26 lug 2007

2.1.2 Das Rheingold: Scena I – Le Figlie del Reno

E nell’acqua è ora nata – dopo le 4 spinte-contrazioni che caratterizzano la conclusione del preludio - la prima vita animale (rappresentata musicalmente dalla tonalità di LAb, che è la sottodominante “partorita” dal MIb originario). Essa assume la forma di tre ninfe (appunto: le Rheintöchter, Figlie del Reno), creature ingenue e invero anche un poco stupidelle, che se la spassano sguazzando su e giù rincorrendosi a vicenda e che – lo capiremo presto – hanno anche il compito di fare da vestali a qualcosa di importante, che fra non molto si rivelerà… Anche i loro nomi sono onomatopeici dell’elemento liquido: Woglinde e Wellgunde (onde), Flosshilde (flutti).

Sono costoro una delle tante “invenzioni” di Wagner(1).

La prima canta il cacofonico “Weia Waga woge du Welle” (la Stabreim…) le cui prime cinque note (una scala pentatonica discendente) a parte la diversa impostazione ritmica, sono perfettamente identiche a quelle che, nella Walküre - atto III - impersoneranno il tema del sonno e successivamente, nel Siegfried, saranno cantate dall’uccellino del bosco, nei suoi avvertimenti al ragazzo. Ora, noi sappiamo per certo che Wagner, dopo aver scritto i poemi della Tetralogia in ordine inverso (prima Götterdämmerung, poi Siegfried, quindi Walküre e infine Rheingold) ne ha composto la musica in modo rettilineo, quindi il "Weia, Waga…" prima del tema del sonno e del Waldvogel: è difficile dire se la parentela fra questi temi sia puramente casuale o, come sempre accade in Wagner, esistano invece fra loro dei sotterranei legami… che però nessuno – a mia conoscenza – ha finora cercato di spiegare… E così mi ci provo io, quasi temerariamente, azzardando la teoria degli “opposti che si toccano”: le ninfe si sono or ora svegliate per la prima volta e quindi si portano dietro uno strascico inconscio del loro precedente stato di “sonno primordiale”; e l’uccellino, col suo canto, ci ricorda della fanciulla dormiente e contemporaneamente “sveglia” l’ingenuo Siegfried, indicandogli la strada verso Brünnhilde…

Ma torniamo a bomba: il LAb dura 10 battute soltanto, poi si torna a MIb maggiore, fino alla seconda frase di Flosshilde ("Des Goldes Schlaf hütet ihr schlecht", il sonno dell'Oro, lo custodite male…) che ci porta al relativo DO minore, la prima apparizione del modo minore nella Tetralogia, qui a rappresentare il presentimento per la catastrofe imminente (l'Oro, mal custodito dalle ninfe, Flosshilde in testa, verrà rubato da Alberich) che avrà conseguenze a dir poco planetarie ed epocali(2). In effetti Flosshilde, che sembra essere la sorella maggiore, redarguisce le altre due che si divertono un pò troppo, ma poi vedremo come sia anche la più perfida, perchè sarà proprio lei a far traboccare la classica goccia dal vaso, mettendo in moto, in Alberich, quell’infernale e straordinario meccanismo che è la psiche umana… Per il momento, modulando a SIb maggiore, lascia libero sfogo ai giochi natatori delle sorelline.

Ma intanto c’è qualcun altro che comincia a farsi percepire: lo si legge nella didascalìa, ma lo si comincia anche a udire. Per ora è solo una vaga “presenza” che si avverte appena, inquietante quanto lontana: le acciaccature, in fagotti e clarinetto basso; forse dei semplici battiti di ciglia di un “voyeur”, protetto dall’oscurità di un anfratto?
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Note:
1. Se si esclude la leggenda di Lorelei, di dubbia provenienza e con legami piuttosto “appiccicaticci” con i Nibelunghi, l’unica labile traccia di ninfe si trova nell’avventura 25 del Nibelungenlied, dove Hagen le incontra al momento di attraversare il Danubio con i suoi uomini: quanto al loro numero, dapprima si parla di un “gruppo”, poi di fatto sono solo due ad interloquire, in un contesto più vicino a quello che incontreremo all’inizio del Terzo Atto di Götterdämmerung; soprattutto, lì di oro non c’è la minima traccia, nè riferimento alcuno… e allora aggiungo un’altra personale congettura riguardo il possibile spunto che Wagner può aver avuto per creare questi personaggi: si narra di una dea della stirpe Vanir, chiamata Gullveig (letteralmente: “assetata d’oro”) che era talmente attratta dal prezioso metallo da parlarne in continuazione e con tutti, al punto che gli Æsir (la stirpe di Odin) la catturarono, la trafissero con le spade e infine la bruciarono su un immenso rogo; ma la dea, tre volte bruciata, tre volte rinacque (Völuspa, strofa 21)… Chissà che le tre ninfe, che presto capiremo essere così strettamente legate all’oro, proprio come Gullveig, non ne rappresentino le reincarnazioni? L’appartenenza ad una stirpe nemica potrebbe inoltre spiegare l’indifferenza, se non il disprezzo, che Wotan (Odin) mostrerà di nutrire per loro.
2. Nelle saghe l’oro è oggetto di varie “trattazioni” pseudo-filosofiche, e viene spesso indicato come origine di invidia, odio, guerre, sciagure, maledizioni e ammazzamenti fra chi se ne vuole impossessare. Ma è Wagner a concepire (ed esprimere musicalmente in modo stupendo) lo stretto, quanto orrendo, legame che intercorre fra oro, potenza e disprezzo dell’amore.

1 commento:

Alex ha detto...

Fino ad ora questa tua "guida" è sensazionale. Grazie, davvero!
Alessio

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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