12 lug 2007

1.1 Introduzione: Sviluppo dell’Idea e della Composizione

Anche se ciò può apparire una pura speculazione priva di base concreta, è interessante far notare un certo parallelo esistente fra lo sviluppo dei tempi e dei contenuti dei poemi e delle saghe nordiche e quello del ciclo del Ring.

Fra le fonti nordiche, le due Edda sono non solamente le più antiche, ma anche quelle che risalgono alle epoche più antiche: ci narrano dell’inizio (oltre che della fine) del mondo; ci raccontano di come i primi esseri viventi apparvero sulla terra; ci elencano i nomi di dèi, giganti e nani; ci descrivono, più che spiegare, miracolosi e magici avvenimenti, con l’ingenuità con cui un bambino si costruisce la sua “realtà virtuale”; anche gli aspetti più cruenti e orrendi di tali storie (e ce ne sono davvero di sesquipedali!) non ci impressionano più di tanto, proprio perché inquadrati in scenari da “c’era una volta…”

La seconda parte dell’Edda di Saemund (quella “eroica”) e la Völsunga Saga già trattano di personaggi e avvenimenti meno “remoti”; pochissimo si soffermano sulle arcane origini dell’Universo, poco ci raccontano degli dèi, più ci raccontano invece degli uomini, con riferimenti para-storici: ad esempio, vi compare Attila, in mezzo ad una serie apocalittica di stragi, ammazzamenti, sangue e orrori(1), descritti con tale realismo da far impallidire certa filmografia moderna (Shining o Arancia Meccanica al confronto sembrano racconti per educande). Ma ci troviamo anche vicende di vita quotidiana presso corti, castelli, villaggi(2); ci fa il rendiconto di viaggi, spedizioni, traghettamenti(2), visite di stato, matrimoni regali (e ovviamente di innumerevoli battaglie e faide di vario genere); ci aggiorna sui colloqui e battibecchi che intercorrono fra persone che fanno tranquillamente il bagno nel fiume; e, naturalmente, ci parla anche di pettegolezzi, invidie, rivalità, antipatie, “corna” (oltre che amori) tipici dell’uomo evoluto.

Il Nibelungenlied riprende il racconto delle vicende narrate nella Völsunga Saga (si va dall'arrivo di Siegfried presso i Burgundi, fino alla strage e alla fine dei Nibelunghi) introducendovi ora semplificazioni, ora ulteriori dettagli.
E il Ring? Come abbiamo visto, principia dalla creazione dell’Universo e dalla descrizione del mondo degli dèi (Rheingold) e prosegue col racconto delle prime vicende umane e con l’analisi della psiche profonda (Walküre); poi racconta dell’Uomo nuovo, rivoluzionario, libero da condizionamenti e in cerca di emancipazione (Siegfried) e infine arriva ai “tempi moderni” delle corti, delle comunità, dei matrimoni regali (e “combinati”) con relative abiezioni a cui l’Uomo perviene e a cui persino la Natura si sente in dovere di ribellarsi e di porre argine (Götterdämmerung).

C’è quindi una specie di percorso parallelo fra l’evoluzione dei contenuti delle saghe e quella dei contenuti del Ring. Grande merito di Wagner è indubbiamente quello di aver dato strutturazione, continuità, consistenza e congruenza (in ultima analisi: unità, poetica e poi musicale) ad una materia che si presentava oggettivamente quasi impossibile da padroneggiare, per farci il Gesamtkunstwerk(4).

Tuttavia il nostro arrivò al Ring per gradi e attraverso un percorso “di maturazione” tutt’altro che rettilineo, che converrà brevemente riassumere.

All’inizio del 1848 Wagner aveva scritto, su poche paginette, il sunto del suo Mito dei Nibelunghi, in cui sbozzava - in modo ancora farraginoso e privo di strutturazione drammatica – la “sua” mitologia(5). Che l’oggetto (come pure la mente del suo autore riguardo ad esso) fosse ancora in uno “stato confusionale” lo dimostra il fatto che, alcuni mesi più tardi – al momento di ricavarci qualcosa sul piano drammatico-musicale – Wagner non trovò di meglio che provare a farci un Grand Opera, la forma imperante a Parigi, da lui sposata con il Rienzi, e il cui fascino (unito alla malcelata invidia ed al rancore personale e razziale nei confronti di Meyerbeer) doveva continuare ad influenzarlo sotterraneamente, anche dopo il fondamentale spartiacque rappresentato dal Lohengrin(6).

Così nacque l’abbozzo della Siegfrieds Tod (la morte di Siegfried) con cori a squarciagola e con finale trionfalistico, forse sognata per una rappresentazione a Parigi, in quella “tana di Meyerbeer” nella quale Wagner non era riuscito ancora a penetrare(7).

Per nostra fortuna(8) Wagner decise di (o fu costretto a) meditarci sopra un pochino e così, oltre a documentarsi di più e meglio su poemi e saghe nordici e a teorizzare in libri e scritti la nuova concezione del teatro e del dramma che veniva tumultuosamente maturando nella sua mente, si avventurò anche su Schopenhauer, da cui trasse indubitabilmente le sue intuizioni su psicologia, sociologia e filosofia, che pose finalmente alla base del Ring.

Ring costruito, nei quattro poemi, “a ritroso”; dalla Morte di Siegfried al Siegfried Giovane, e di qui al Furto dell’Oro del Reno e infine alla Valchiria(9), in un irrefrenabile “andare sempre più indietro”, per risalire al principio di ogni cosa, alle origini più remote della vita e dell’umana psiche, e quindi da lì ritornare giù, in discesa lungo le epoche storiche, a musicarli con la conquistata consapevolezza che:

“in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine,
ivi si compie altresì la loro dissoluzione,
secondo necessità…”(10)

E quindi ecco il mediocre e rabberciato Mito dei Nibelunghi assurgere alla dignità e allo spessore di “Storia universale”(11); ed ancora: ecco che la velleitaria e trionfalistica - e parecchio ingenua, ammettiamolo pure - Siegfrieds Tod si trasfigura letteralmente e radicalmente nel Götterdämmerung, il “crepuscolo degli dei”(12), ma in realtà dell’Uomo, travolto dai suoi peccati, che peraltro direttamente derivano dai peccati dei padri (gli dèi, appunto(13)) e in ultima analisi da un “peccato originale” della Natura medesima, responsabile della nascita e dello svilupparsi della psiche umana, fenomeno foriero delle più impensabili conseguenze(14).

E un oggetto-simbolo  - non più un semidio un poco vanesio che dopo qualche disavventura muore e resuscita ascendendo nell’olimpo degli dèi - diventa protagonista dell’intera Tetralogia. Ce lo dice già il titolo: l’Anello! È precisamente attorno ad esso che si sviluppa la colossale allegoria wagneriana che contiene poi mille allegorie più piccole che rappresentano ogni aspetto dell’umana esistenza.

Wagner, che concepiva immediatamente l’ambientazione tematica (se non addirittura i singoli e specifici leit-motive) di ogni scenario poetico che andava via via strutturando, compose la musica del Ring in sequenza cronologica, partendo da Rheingold e concludendo con Götterdämmerung: la stupefacente unità musicale e tematica delle quattro opere – nonostante i 4 lustri abbondanti che la composizione occupò - ci porta a concludere che, una volta maturatane l’idea portante, il nostro artista avesse fin da subito ben chiaro in testa l’intero “impianto” della sua apparentemente velleitaria impresa.

___
Note:
1. Un solo esempio: pranzo con menu a base di cuore umano, annaffiato con sangue, umano anch’esso…
2. Persino i nomi delle città sono “attuali”: Worms, Mainz, Xanten, …
3. Oltre al Reno, anche il Danubio vi è spesso citato.
4. L’Opera d’Arte Totale.
5. Più che lo stesso Nibelungenlied, la Skaldskaparmal di Snorri e la Völsunga Saga sembrerebbero essere le dirette fonti di questo abbozzo.
6. La quale opera ne conserva peraltro tracce visibili – e soprattutto udibili – quali l’incipit dell’ultima scena, ambientata nella spianata sulla Schelde, dove la didasacalìa in partitura prevede inderogabilmente l’ingresso in palcoscenico di ben due bande spacca-timpani (con tanto di tamburi a tracolla) che accompagnano cavalli in carne e ossa, provenienti da quattro diverse direzioni!
7. Ed in cui finalmente entrerà nel 1861, col suo rinnovato, ipertrofizzato e “tristanizzato” Tannhäuser, ma solo per subirvi il più umiliante smacco di tutta la sua carriera artistica…
8. Ed anche a causa di contingenti fatti storici, quali la partecipazione alla soffocata rivoluzione di Dresda e la conseguente fuga, via Weimar-Liszt, verso l’esilio di Zurigo…
9. I titoli delle quattro opere furono rivisitati e modificati da Wagner anni dopo, al momento della pubblicazione definitiva dei testi.
10. Anassimandro da Mileto (600 a.c.)
11. Così Wagner descrisse in una lettera a Liszt la sua straordinaria intrapresa.
12. Il nordico “Ragna rökkr”.
13. Per Saemund (come del resto per Esiodo) gli dèi sono tutt’altro che esseri nobili, puri e integerrimi: al contrario, non fanno che ammazzarsi fra loro (anche e soprattutto “in famiglia” e con metodi a tal punto orripilanti da sfociare addirittura nel ridicolo) pur di conquistarsi il potere.
14. Ymir, la prima forma di vita narrata nei poemi eddici, è un essere congenitamente “cattivo” (così almeno ce lo descrive Snorri) poiché inquinato dai veleni dei mefitici fiumi settentrionali, che lo generarono al contatto con il calore meridionale. E d’altra parte, anche Anassimandro attribuisce una “colpa” - inevitabilmente da espiare con il ritorno all’àpeiron - a tutto ciò che nasce, da esso dissociandosi come individuo.

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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