5 dic 2008

3.2.2.2 Die Walküre: Atto II - Scena II - Wotan e Brünnhilde (I)

Bene, torniamo ora a Wotan e Brünnhilde e seguiamone il colloquio, che in realtà sarà un monologo di Wotan, con pochi interventi della figlia. Sia chiaro che questa lunga, quasi estenuante narrazione, infarcita di pessimismo e di disappunto, oltre a ricordarci avvenimenti passati, ha anche una ragion d’essere assai precisa nell’economia del dramma, in quanto rappresenta nientemeno che un - sia pure anomalo - “passaggio di consegne” da padre a figlia, un trasferimento di responsabilità di cui la Valchiria(1) non si rende conto al momento, ma che si scoprirà addosso fra non molto. Incidentalmente, anticipiamo qui che sarà Brünnhilde, e non già Siegfried, alla fine del Ring, a prendere in mano le redini del comando e a gestire il passaggio dal vecchio “sistema degli dèi” al nuovo sistema... di chi?

Brünnhilde chiede: cosa devo fare? Mi sembri triste, dopo il colloquio con Fricka. Il tema del malcontento, nei violoncelli, chiosa tre volte la sua domanda, scendendo da punti sempre più alti: prima dal MI, poi dal SOL, quindi dal SI.

Wotan: “In eigner Fessel fing ich mich”, sono prigioniero dei miei stessi vincoli, io, il meno libero di tutti (ironia della sorte, e massima frustrazione, per uno che è il capo degli dèi). Puntualmente, i violoncelli ripetono, due volte, ma ora cadendo sempre più in basso, prima dal RE, poi dal SOL, il tema del suo malcontento.

Brünnhilde: “So sah ich dir nie”, non ti ho mai visto così…

Nei fagotti e violoncelli, piano, dal RE grave, sale fino al LA dell’ottava sopra il tema della disperazione di Wotan, che sfocia in quello della maledizione, nella tromba bassa, mentre il dio sbotta: “O heilige Schmach!”, un’ottava discendente, dal DO; ancora il tema della disperazione, stavolta anche nel clarinetto basso, dal SOL su fino al REb, con le trombe a scandire subito il tema della maledizione; “O schmählicher Harm!”, altra caduta, da REb a RE; di nuovo il tema della disperazione (stavolta si aggiungono anche i corni, dal LA) poi l’esplosione del cuore esacerbato: “Götternoth!, Götternoth!” (dal RE e dal MI) divina angoscia (qui anche la collera di Fricka ci si mette di mezzo!); poi ancora più su, dal FA, “Endloser Grimm! Ewiger Gram!“, affanno senza fine, eterno rovello, io sono il più infelice di tutti... e quel “Der Traurigste bin ich von Allen!” richiama scopertamente il tema della rinunzia! Sì, perchè ormai Wotan si sta rendendo conto che dovrà proprio rinunciare a tutto: vedremo che gli rimarrà solo una speranza, legata - per ora - ad un embrione...

Brünnhilde: “Vater, Vater!…”, mi preoccupi, io ti sono fedele, devi credermi…

Il clarinetto basso intona il tema dell’amore, mentre Wotan (così reca la didascalìa originale) guarda lungamente la figlia prediletta negli occhi (anticipando qui un altro, lunghissimo e commovente sguardo, che riserverà alla Valchiria prima di separarsi da lei, alla fine dell’opera) e le accarezza, con dolcezza quasi involontaria, i riccioli(2).

Prima di iniziare a declamare il suo lungo soliloquio, preceduto e inframmezzato spesso dal tema del malcontento, Wotan espone una domanda e pone una chiara condizione. Dapprima chiede - si chiede, dovremmo dire - se il rivelare la sua storia alla figlia non potrebbe fargli perdere la cieca fiducia che la Valchiria nutre per il padre. Brünnhilde lo assicura che lei altro non è se non il suo stesso volere, e lo fa con una frase musicale di straordinaria e commovente bellezza. È una di quelle perle che val la pena ammirare da vicino: dapprima arpeggia sull’accordo di LA maggiore, salendo da dominante a tonica (“Zu Wotans Willen...”, e poi scendendo di un’ottava, passando attraverso la triade maggiore (“...sprichts du, sag’st du mir, was du...”) per poi salire alla sesta, FA#, sul “willst”; da qui ancora al LA (“wer...”) da cui si diparte su armonizzazione di dominante (”...bin ich, wär ich dein...”) tornando infine alla triade (“...Wille nicht?” DO#-LA-MI). I corni prima la sostengono, per poi suggellarla da par loro, modulando da LA a FA maggiore, quindi a MI maggiore, prima di passare la parola ...ai tromboni, che introducono e poi sostengono con cupi accordi l’importante precisazione di Wotan.

Il quale avverte che le rivelazioni che si appresta a fare devono tassativamente restare un segreto fra lui e la figlia. “È come se io parlassi a me stesso, capito?”, le dice, col tema del suo malcontento che sprofonda, esattamente come il suo morale, negli archi bassi. È una precisazione apparentemente superflua: cosa c’è di tanto importante o compromettente in ciò che Wotan si appresta a raccontare alla figlia? E a chi mai potrebbe Brünnhilde spifferare il tutto, se non al massimo alle sorelle?(3)

La risposta alle due domande - secondo logica - non può essere che una sola: Siegfried!

Infatti: Wotan chiarirà tra poco a Brünnhilde che solo un “altro da sè” potrebbe compiere l’impresa del recupero dell’Anello, escludendo allo stesso tempo che costui possa essere Siegmund, perchè da lui stesso all’uopo “costruito” e a cui deve quindi rinunciare, in omaggio alle sue stesse regole e a quanto reclamato da Fricka; anche se non lo rivela esplicitamente alla figlia(4), Wotan deve sapere - perbacco: è un dio o no? - che Sieglinde porta in seno un figlio che, ignorante di tutto, potrebbe quindi compiere “liberamente” l’impresa e neutralizzare la maledizione di Alberich; a patto però che nessuno - guarda caso: Brünnhilde! visto che sarà lei a “iniziare” Siegfried alla vita adulta(5) - lo informi del disegno del Dio e del ruolo che in tal disegno gli è riservato...(6)

___
Note:
1. Ma nemmeno Wotan sa quali danni deriveranno da questo suo spifferare tutto alla figlia, che lui crede - sbagliando - che continuerà a fare solo e tutto il suo volere, senza porsi domande.
2. Sembrano, questi, dei particolari insignificanti, delle indicazioni generiche, che spesso registi attenti più a presentare la propria personale interpretazione del Ring, invece che a rappresentarlo fedelmente, trascurano, quando addirittura non travisano completamente. Invece sono didascalìe assolutamente rilevanti che pretendono e meritano la stessa attenzione che si riserva alle note scritte sul pentagramma!
3. Ed effettivamente, nel terzo atto, Siegrune, Schwertleite e Grimgerde mostreranno di conoscere quantomeno il particolare relativo a Fafner, anzi qualcosa di più! Sembra quindi evidente che Brünnhilde non abbia mantenuto il segreto, come ordinatole dal padre: dobbiamo interpretare ciò come un’ombra deliberatamente lanciata da Wagner sulla personalità della Valchiria? O semplicemente come una delle tante “sviste” in cui l’Artista è incappato, data l’immane complessità della vicenda?
4. Ma è chiaro che in nessun altro modo lei potrebbe, con assoluta sicurezza, avvertire della gravidanza di Sieglinde: dapprima Siegmund - fra poco, nella quarta scena - e poi Sieglinde medesima, nel terzo Atto.
5. Tutto ciò ci sarà mostrato esplicitamente nella prossima opera, ma ne avremo già inequivocabile certezza fin dal terzo atto di questa, proprio per bocca di Wotan e... della musica!
6. Commentando il Prologo e il Primo Atto di Götterdämmerung avremo modo di occuparci dell’atteggiamento - piuttosto incoerente - di Brünnhilde nei confronti dell’Anello.

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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