27 lug 2007

2.1.3 Das Rheingold: Scena I – Alberich

È un’altra forma di vita, quella che fa la sua apparizione (“Hehe! Ihr Nicker!”...) modulando sulla relativa di SIb, un sinistro SOL minore: Alberich, un elfo scuro, mezzo uomo e mezzo rospo(1), esce ora allo scoperto e si aggira fra gli scogli emergenti dal fondo(2) per avvicinarsi alle tre ninfe. Le prime frasi che Alberich pronuncia hanno la caratteristica, da molti critici sottolineata, di imitare il cantilenare degli ebrei (nelle sinagoghe, ma anche nella parlata comune). Abbiamo già accennato a ciò nella premessa, e più avanti ci sarà modo di tornare sull'argomento: per ora basti osservare come Alberich cambierà radicalmente tono e modo di esprimersi nel momento in cui si distaccherà dalla folla anonima per ergersi a grande uomo peccatore; riprenderà il tono cantilenante solo due volte, e sempre in occasione di battibecchi col fratello Mime.

È poco più che un animale, Alberich, e come tale prova l’istinto, animalesco appunto, ma in fin dei conti naturale e quindi ancora non peccaminoso, all’accoppiamento(3). Chiama le ninfe in basso, a giocare con lui, e ammette: “Wie gern umschlänge der Schlanken eine mein Arm...“ (come ne cingerebbe volentieri una il mio braccio) Il corno inglese e i clarinetti emettono qui tre gemiti (DOb-SIb) una seconda minore che anticipa, quasi fosse un ammonimento, o un presentimento, o il segno del destino, l’imminente quanto frustrante conclusione dell’incontro del nano con le ninfe.

Le quali (inclusa Flosshilde, che poco prima aveva ancora messo in guardia le sorelle dal potenziale nemico) ne disprezzano le schifose fattezze, ma vanno ben oltre: si prendono gioco di lui! A turno, tutte e tre lo adulano, fingendo di farsi acchiappare, per poi guizzare via ridendo a crepapelle.

Dapprima è Woglinde a scendere verso il nano, per “conoscerlo meglio”; così Alberich cerca di raggiungerla, e la musica che lo accompagna ne descrive mirabilmente lo sforzo per restare in piedi sul terreno scivoloso (fagotti e contrabbassi) e gli starnuti che il vapore gli provoca (corni e strumentini)! La ninfa finge di accoglierlo, disponibile a sposarlo (“…so freie mich hier!“) prima di lanciarsi su uno scoglio lontano…

Poi è il turno di Wellgunde, che attira il nano (“Heia, du Holder…”) col suo tema detto dell’adulazione, un tritono discendente, DO-FA#, intervallo di per sè ambiguo, ingannatore e di difficile intonazione(4), facendosi quasi acchiappare, prima di fuggire con uno sprezzante “Pfui!”

Flosshilde arriva al sommo grado di perfidia, intonando per Alberich nientemeno che un’ammaliante serenata in REb: due versi su un’identica melodia, dapprima ascendente: dalla dominante, attraverso sesta e settima, alla sopratonica; e poi discendente: tonica, dominante, sesta, mediante, dominante, sottodominante, che comincia a insinuare l’ambientazione del tema dell’amore (che si manifesterà pienamente solo nel primo atto della Walküre).

“Wie deine Anmut mein Aug erfreut…” (come il tuo portamento appaga i miei occhi…) è il primo verso, seguito dal secondo (“deines Lächelns Milde den Muth mir labt!”, la tua sorridente dolcezza mi ristora l’animo…) e qui con tanto di sbudellante “tensione armonica” (REb-RE-MIb nei violini e flauto); la conclusione è un “Seligster Mann!”, uomo divino - la cui sfacciata ipocrisia è inequivocabilmente smascherata dalle 5 semicrome, che percorrono in discesa due toni, a mò di cippirimerlo o di pernacchia, nel corno inglese e nel clarinetto basso e poi nel fagotto - cui l’elfo incredulo risponde con un accorato, sincero, amorevole, anelante “Süsseste Maid!”, dolcissima fanciulla…; lei prosegue, sempre più carognescamente, lodando i suoi capelli irsuti e le sue forme da rospo, arrivando persino ad abbracciarlo, per poi finalmente schizzar via, mentre le due sorelle ridono perfidamente di lui.

Attenzione qui alla quasi maniacale precisione di Wagner nel descrivere gli sberleffi delle ninfe: alla fine di ciascuno dei tre “approcci” ad Alberich, prima Wellgunde e Flosshilde, poi Woglinde e Flosshilde, infine Woglinde e Wellgunde (due volte) ridono, sul tempo di 6/8, con un “/-hahahàhaha/hà“, costituito da 6 crome, tutte uguali, a rappresentarci delle risate sciocche e impertinenti, ma in certo senso anche spontanee e naturali; vedremo tra poco quale sarà invece la struttura dell’ultima (e per nulla serena) risata delle ninfe!

Intanto, notiamo che qui è evidentemente successo qualcosa di nuovo: delle creature viventi, oltre al proprio naturale istinto, hanno cominciato ad usare uno strumento micidiale, la ragione, ed hanno iniziato davvero bene, prendendosi gioco di un povero mezzo-handicappato!

Il quale comincia a sua volta a reagire in modo cosciente (“Wehe! ach wehe!”) su un tema tremendo, di due sole note discendenti, una seconda minore(5), prima SIb-LA, poi REb-DO (il tema della schiavitù e della frustrazione) che tante volte risuonerà nel corso della storia, e che peraltro “il destino” aveva già anticipato ad Alberich, al momento del suo approccio iniziale alle ninfe…

Le quali riprendono i loro “Wallala!”, in MIb, e lanciano ad Alberich delle vere e proprie provocazioni, il che ingenera nel nano una nuova reazione, quella - adesso è proprio così - della concupiscenza cieca e peccaminosa (“Fing’ eine diese Faust!”, ne prenderà pure una, questo pugno!) cantata sul tema della minaccia, il nucleo del tema dei Nibelunghi, che ascolteremo a josa nella terza scena, ma che comincerà ad agitarsi (e ad agitarci) anche molto, molto prima...

Qui bisogna fermarsi un attimo, perchè ci troviamo di fronte al peccato originale, al germe di tutti gli altri peccati, ma anche di tutti gli eroismi che da qui si succederanno. Wagner, in sintesi, ci ha appena spiegato come sia stata una frustrazione di ordine sessuale a dare origine a tutte le disgrazie del mondo, alla sete di potere e di vendetta dell’uomo, anzi propriamente del maschio. Oggi una siffatta teoria non ci sconvolge più di tanto, avendo noi alle spalle più di cento anni di psicanalisi che l’hanno ampiamente suffragata, ma quando Wagner componeva il Rheingold, Freud doveva ancora nascere!
___
Note:
1. Nell’Edda di Snorri (Skaldskaparmal) Andvari (Alberich) è un nano che vive sotto una cascata, ed ha la prerogativa di potersi trasformare in luccio.
2. Wagner ha bisogno, per rendere realistica la sua storia, che Alberich sia dotato di prerogative “anfibie”.
3. Nella Scena III Alberich accennerà ad approcci infruttuosi con le “donne degli dèi”: difficile stabilire se siano antecedenti ai fatti qui narrati.
4. Non per nulla definito anticamente “diabolus in musica”!
5. Spunto offerto a Wagner nientemeno che da Mozart (Don Giovanni, Atto I, Scena III) dove un tema simile, sia pure a lunghezze di suono invertite, incastona la disperata esternazione di Donna Anna alla vista del cadavere del padre (il “Commendatore”) appena freddato dal libertino.

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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