14 nov 2007

2.4.2 Das Rheingold: Scena IV – La maledizione di Alberich

Alberich è sconvolto: “Das Leben, doch nicht den Ring!”, la vita, ma non l’anello!

Wotan: voglio l’anello, della tua vita fanne pure ciò che credi!

Il nano non regge alla disperazione: l’anello vale più di qualunque parte di me stesso!

Wotan: tu lo rubasti alle figlie del Reno(1) (e il tema del canto delle ninfe appare nei corni).

Alberich sarà pure un ladro, daccordo(2), ma contro Wotan ha ragioni da vendere, dobbiamo pure ammetterlo: “Schmäliche Tücke!”, che impudenza, come osi incolpare me di un atto che tu stesso avresti voluto compiere, senza però averne il coraggio! Qui Alberich ci presenta anche le sue attenuanti: “aus schmählicher Not, in des Zornes Zwange“, un vergognoso stato di necessità e la costrizione dell’ira mi hanno forzato a compiere la terrificante magia... e subito dopo - acutissima considerazione davvero! - “Frevelte ich, so frevelt' ich frei an mir“ se ho peccato, ho liberamente peccato verso me stesso(3), mentre tu (Wotan) “an allem, was war, ist und wird, frevelst“ pecchi contro tutto ciò che fu, è e sarà (ricordiamoci bene di questi tre tempi del verbo essere, poichè presto li risentiremo in bocca a qualcun altro...) se mi togli a forza l’anello!

Davvero non si distingue più l’accusa dalla difesa, il ladro dal giudice, il peccatore dal moralista: in realtà hanno tutti e due la coscienza sporca, prova ne sia che Wotan, per impossessarsi dell’anello, deve precisamente usare la forza (mascherata da legge costituita, come testimonia il tema del Patto negli archi bassi) contro il nano ancora legato(4).

Come si schianta, storpiato, il tema dell’oro, mentre Alberich grida disperato: “Ha! Zertrümmert!”, col tema della rinunzia che, nel corno inglese, piange e impreca con lui!

Wotan è inebriato. “Nun halt ich…”, adesso possiedo ciò che mi renderà il più potente dei potenti! Ma canta ciò su un tema che ricorda quello della dominazione di Alberich (sì, perchè il dio ha tradito le sue stesse rune per soddisfare la sua sete di grandezza) seguito dal tema dell’anello.

Ora Alberich può essere liberato: Loge non perde occasione per sbeffeggiarlo ancora (“Schlüpfe denn heim!”, corri pure a casa…)

E Alberich mostra ancora una volta la sua grandezza (sia pure in negativo). “Bin ich nun frei?” Sono libero, davvero? Il suo tema dell’annientamento (una quartina ascendente, SOL-LA-SI-SI# che sfocia nel DO#) comincia a fare capolino nei violoncelli, a rappresentare una specie di tarlo che, d’ora in poi, continuerà a rodere tutto e tutti, un virus che si insinuerà nelle menti e nei corpi, che non lascerà pace alle coscienze, che sarà sempre lì a ricordare come, ad un peccato, si è risposto con un peccato ancor peggiore…

È la maledizione di Alberich: “Wie durch Fluch er mir geriet…”, come a me arrivò attraverso una maledizione (dell’amore!) così sia maledetto questo anello! E il tremendo tema (della maledizione, appunto) sostiene queste parole, salendo dal FA al LA, al DO, al MI (sullo spaventevole “Verflucht”, maledetto!) per poi precipitare di un’ottava esatta, e scendere ancora al DO, per chiudere poi, salendo al SOL(5), sul (maledetto) “Ring”.

Chi lo possiederà vivrà nell’angoscia di perderlo; chi non lo avrà, si roderà nell’invidia! Chi sarà il signore dell’anello, sarà anche il suo schiavo! (tema della schiavitù) fino a che l’anello non torni nelle mie mani… “So segnet in höchster Not…”, così il Nibelungo, nel momento della più alta disperazione, benedice il suo anello! E tu che ora lo possiedi, non sfuggirai alla mia maledizione!(6) Le ultime parole sono pronunciate, in SI minore, a partire dalla dominante FA# e scendendo la scala minore (MI-RE-DO#) fino al SI, quasi esattamente le stesse note con cui Alberich, nel secondo atto del Siegfried, proclamerà a Wotan che lui, recuperato l’anello, sarà signore del mondo! Terribile, fortissimo, il tema della schiavitù invade tutta l’orchestra, passando dal modo minore (LAb-SOL) al maggiore (LA-SOL) e raddoppiando il ritmo, mentre Alberich si allontana.
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Note:
1. Nelle saghe non viene mai spiegato come Andvari si sia procurato il suo anello “arraffa-tesori”. Inoltre, dopo che Loki gli ha rubato il tesoro, di Andvari non sappiamo più nulla: è uno dei tanti fili che restano pendenti e che testimoniano della frammentarietà e della sconnessione delle saghe.
2. In realtà abbiamo visto come – sul piano puramente giuridico – ci sarebbe da discutere parecchio sulla correttezza della definizione.
3. Qui Wagner è persin troppo “garantista”, nel presentarci la decisione di Alberich come frutto di libero arbitrio: quest’ultimo presuppone che tutte le alternative in gioco presentino dei pro e dei contro. Abbiamo invece visto - e lui stesso lo conferma qui - come Alberich abbia agito in un tremendo stato di necessità: l’alternativa alla decisione da lui assunta comportava solo un mare di contro, e nessunissimo pro...
4. Inutile negare l’evidenza: Wotan si impossessa dell’Anello attraverso l’impiego di inganni, soprusi e violenza fisica! Alberich, per averlo, aveva deciso di sacrificare quanto di più prezioso per l’uomo esista al mondo. Onestamente: è davvero difficile stare dalla parte di Wotan, contro Alberich!
5. Questa seconda parte del tema verrà significativamente ripresa da Wagner nel Tristan, ad accompagnare la definizione “Todgeweihtes Haupt” (mente votata alla morte) che Isolde darà dell’eroe. In omaggio alla “tensione cromatica” dell’opera, vi si conclude però sul LA, anziché sul SOL…
6. Nell’episodio della lontra, Andvari sale su uno scoglio (proprio come Alberich al momento di maledire l’Amore) e lancia la sua maledizione contro chiunque possiederà il tesoro. Il quale viene dato, in cambio della libertà di Odin e compari, a Hreidmar, che viene però ucciso dai figli (Fafnir e Regin) che se ne impossessano, ma che a loro volta saranno colpiti dalla maledizione (verranno uccisi, in tempi diversi, da Sigurd-Siegfried).

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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