14 ott 2007

2.3.2 Das Rheingold: Scena III – Alberich e Mime

È sempre il tema della schiavitù che ora ci introduce i due personaggi che si avvicinano: Alberich, che trascina il fratello Mime(1). La musica della scena che segue è stata spesso additata ad esempio del livore antisemita di Wagner(2). E ancor “di peggio”, da questo punto di vista, Wagner farà (protagonisti gli stessi due fratelli nibelunghi) nel secondo atto del Siegfried. In entrambi i casi, ridimensionata la portata politica del riferimento agli ebrei, resta, ancora una volta, la suprema efficacia musicale che la maestrìa del nostro riesce a raggiungere…

Dunque, Alberich tira letteralmente per un orecchio il fratello, chiedendogli notizie del manufatto che gli ha ordinato di costruire.

Mime dice: è pronto, ma togli le unghie dalle mie orecchie.

Alberich incalza: allora dammelo.

Mime esita: manca qualcosa…

Alberich stringe la presa sull’orecchio del fratello, che si lascia sfuggire l’oggetto: il Tarnhelm, un elmo magico, che dovrà servire ad Alberich per evitare che qualcuno gli rubi l’anello! Mime ha intuito la cosa, ma non ha saputo scoprire la magìa dell’elmo (poichè lui non ha maledetto l’amore… anche se, come vedremo qui, ma soprattutto nel Siegfried, anche a lui non fanno difetto cinismo e malvagità inaudite!)

“Her das Geschmeid!”, a me il manufatto! grida Alberich. E adesso la musica ci spiega – con un realismo di suprema efficacia – di cosa si tratti in effetti: i quattro corni in MI intonano la prima sezione del tema del Tarnhelm(3), che rende perfettamente l’idea di qualcosa di arcano, indecifrabile… magico, per l’appunto! La sua parentela con il quarto dei temi di Loge è non solo evidente, ma perfettamente giustificata, vista la costituzionale ambiguità che caratterizza il dio del fuoco... ma soprattutto si spiega con un fatto, di cui verremo a conoscenza tra pochissimo: una vecchia consuetudine intercorsa tempo addietro fra Alberich e Loge!

Alberich rimprovera Mime per aver tentato di nascondergli la cosa (“Kenn’ich dich dummen Dieb”, ti conosco stupido ladro) e poi, mentre i corni riprendono e completano il tema del Tarnhelm, procede al collaudo: “Nacht und Nebel, Niemand gleich” sono le parole che mettono in moto la magìa(4)… Alberich chiede: mi vedi tu, fratello? Ma Mime non può vederlo, poichè il Tarnhelm ha fatto scomparire Alberich, che si fa invece sentire (“So fühle mich doch!”) con frustate che si abbattono sul fratello. Il quale riprende i suoi lamenti striduli, interrotti da una cinica risata che Alberich, sempre invisibile, gli urla proprio sul ritmo delle terzine del tema dei Nibelunghi: “-.haha-hàhaha-hà!”(5).

Adesso ad Alberich non manca più nulla: ha l’anello, che gli dà il potere di sfruttamento sui Nibelunghi, e ha l’elmo, che gli dà la sicurezza di non perdere l’anello… E subito torna ad incalzare i suoi sudditi (“Ho-ho! Ho-ho!”) costringendoli come un gregge impaurito a scavare nelle miniere e ad ammassare per lui oro e argento(6). Il tema dei Nibelunghi è scandito dagli archi alti, mentre basso e contrabbasso-tuba e archi bassi incalzano con il tema della schiavitù, ossessivo e implacabile, proprio come lo è un regime schiavistico e sfruttatore!

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Note:1. Difficile individuare un ascendente “mitologico” per il Mime qui presentato: nè l’Andvari delle saghe islandesi, nè l’Alberich del Nibelungenlied hanno fratelli (quanto meno, non sono citati per nome). D’altra parte, la figura mitologica di Mimir (Mimer) nulla ha a che fare – nè nel contesto, nè nella personalità - con Andvari, con Alberich, o con i Nibelunghi. Evidentemente Wagner aveva bisogno di un personaggio che facesse qui da “spalla” ad Alberich. Il Mime “patrigno” di Siegfried, che incontreremo nella seconda giornata, ha invece un preciso ascendente nelle saghe nordiche: come già accennato, si tratta di Regin, fratello di Fafnir e figlio di Hreidmar, che verrà ucciso da Sigurd (Siegfried) dopo averlo spinto ad uccidere Fafnir per impossessarsi del tesoro di Andvari (Alberich). Un Mimir nella parte del fabbro tutore di Sigurd-Siegfried lo troviamo peraltro in una saga germanica (Thiðrekssaga) e Wagner potrebbe aver scelto da qui il nome per il fratello di Alberich.
2. In quanto rappresenterebbe in maniera fedele, quanto offensiva, il modo di parlare (di discutere soprattutto) e di cantare, degli ebrei…
3. Nel Nibelungenlied si narra del tarnkappe (tarn= segreto, kappe=cappuccio) di Alberich, a cui Siegfried lo strappa: nulla è detto della sua provenienza. Peraltro anche Wagner evita di spiegarci – perché gli sarebbe oggettivamente difficile, o estremamente complicato - per quale arcano motivo l’elmo, costruito da Mime su commissione del fratello, sia dotato di poteri magici (e non solo se usato da Alberich oggi, ma anche da altri domani, vedi Fafner e poi Siegfried) e perché Mime non ne possa a sua volta costruire un altro per sè…
4. Wagner sorvolerà sulla procedura seguita da Fafner per trasformarsi - mediante il Tarnhelm - in un drago: il gigante non poteva certo conoscere le parole magiche usate qui, e nelle due successive trasformazioni, da Alberich. Viceversa Siegfried sarà istruito all’uso del Tarnhelm da un tipo che mostrerà di “saperla lunga”: Hagen!
5. Sarà però nel secondo atto del Siegfried che Alberich toccherà la vetta assoluta del disprezzo per Mime, allorquando farà esplodere la stessa risata, sull’estensione completa del tema dei Nibelunghi e in modo ancora più terribile, compiacendosi della morte violenta dell’odiato fratello, per mano del giovane eroe.
6. Lo stato delle cose a Nibelheim ci conferma che dal momento del furto dell’oro nella prima Scena ad oggi deve essere passato un bel pò di tempo.

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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