2 gen 2012

4.1.2.1 Siegfried - Atto I, Scena II - Wotan irrompe nella caverna di Mime

È il Viandante(1), in realtà Wotan – mantello blu, lancia come bastone e gran cappello a larga tesa che gli copre l’occhio mancante - che arriva dalla foresta, a passi lenti ma inesorabili (proprio come il destino!) Ogni suo passo è scandito da un pesante accordo, in tonalità sempre diverse e distanti fra loro, proprio a chiarire – all’esterrefatto Mime e a noi - la condizione di alieno che caratterizza il visitatore.

Sono 8 accordi, su 4 battute, le cui note fondamentali (le più alte) sono – sulle ultime imprecazioni di Mime - SI (SI maggiore), LA (RE maggiore), SIb (SIb maggiore), SOL# (MI maggiore), e poi - sulle prime parole di saluto di Wotan (“Heil dir, weiser Schmied!”) - LA (LA maggiore), SOL (DO maggiore), LAb (LAb maggiore) e FA# (RE maggiore) per chiudere poi sul SOL. L’arco melodico è assai regolare, una seconda maggiore discendente seguita da una seconda minore ascendente e così via, mentre la progressione armonica è davvero arcana, e può evocare - agli occhi di Mime - la suprema saggezza di uno che viaggia molto e conosce il mondo, ma anche la potenza di un personaggio che ha tutta l’aria di essere importante. Ci ricorda anche vagamente l’atmosfera del motivo del sonno, con cui Wotan aveva narcotizzato Brünnhilde alla conclusione della precedente giornata, altra manifestazione dell’inconscio e dell’arcano.

Un nuovo tema, quello del Viaggio, lento e solenne come di chi fa lunghi percorsi a piedi, accompagna la richiesta di ospitalità di Wotan (“Dem wegmüden Gast gönne hold des Hauses Herd!”) Esso è in drammatico contrasto con la selvaggia agitazione che imperversa in anima e corpo di Mime, che vive l’arrivo del Viandante come una nuova minaccia alla sua già precaria condizione. Nell’immediato seguito assistiamo in effetti ad un continuo botta-e-risposta fra Wotan, che insiste con fare calmo e ieratico per avere ospitalità, e Mime che cerca in tutti i modi e disperatamente di liberarsi dell'intruso (per ora) sconosciuto. Tutta questa sceneggiata può apparire fin troppo prolissa, ma in realtà serve a mostrarci la decisione, perfino l’invadenza prepotente con cui Wotan forza il nano ad ospitarlo.

A Mime, che si chiede chi sia che lo viene a disturbare fin nel folto della boscaglia, Wotan risponde (“Wand’rer heisst mich die Welt”, viaggiatore mi chiama il mondo) accompagnato dai suoi due temi. Ancora Mime obietta: se ti chiamano viandante, allora rimettiti subito in cammino! Ma Wotan, ora accompagnato dal suo secondo tema (del viaggio) ricorda a Mime di aver avuto sempre ospitalità ovunque l’abbia cercata: solo chi ha qualcosa da nascondere lo può temere. E Mime effettivamente qualcosa da nascondere ce l’ha e ancora implora Wotan di lasciarlo con i suoi guai. È sempre il tema del viaggio a sostenere Wotan che, continuando imperterrito ad avvicinarsi, rassicura Mime sulle sue oneste intenzioni, testimoniate da tanti buoni risultati ottenuti in passato con le sue visite. Ma Mime non ne vuol sapere, né è interessato a consiglio o a conforto alcuno: lui preferisce starsene solo e segregato. Ma ormai Wotan, sempre sul tema del viaggio che si dilata ulteriormente, e sempre muovendo lenti passi verso il focolare, assicura Mime che i suoi consigli hanno sempre portato beneficio a coloro che ignoravano cosa gli tornasse utile.

E all’ennesima rimostranza di Mime, che sullo sfondo del tema (dell’astuzia) dei Nibelunghi ancora nega di necessitare di alcun aiuto e gli indica la via per andarsene, Wotan avanza decisamente verso il focolare e vi si mette a sedere. E per chiarire a Mime che adesso per lui non c’è modo di evitare l’incontro, cosa udiamo nei tromboni e nella tuba? Il tracotante tema del Patto! A cui nessuno può sperare di opporsi.

Ma che cosa vuole davvero Wotan con la sua irruzione in casa del nano? Metterlo alla prova in una tenzone di sapienza!(2). I pesanti accordi del tema del Viandante e poi una nuova esplosione del tema del Patto introducono la spiegazione di Wotan a Mime: il nano potrà chiedere al Viandante ciò che reputa utile per sé e la testa dell’ospite darà sua, se le di lui risposte saranno men che esaurienti.

Mime ormai deve aver capito di non avere alcuna via d’uscita, e si adatta, dapprima riluttante, alla situazione: e il tema della sua meditazione compare proprio a proposito! Poi però ringalluzzisce, e pensa a come poter buggerare l’ospite con domande insidiose. Ora, facendo seguire quasi grottescamente il motivo nibelungico dal solenne tema del Patto, annuncia: Viandante, in cambio dell’ospitalità prendo in pegno la tua testa, e tu vedi di conservartela, rispondendo a tre domande che ti farò senza alcun timore reverenziale. Wotan, impassibile: e per tre volte io dovrò fare centro! Ancora un frammento del Patto, poi le classiche terzine nibelungiche e il tema della meditazione ci notificano che Mime si appresta a porre il primo quesito.
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Note:
1. Wagner prende certamente spunto dalle saghe per presentarci il dio nella veste di un viandante (Der Wanderer). Ma mentre in quelle la motivazione a viaggiare era la volontà di dominare – anche in sapienza – il mondo (tratto caratteristico del Wotan del Rheingold, per intenderci) qui invece il nostro si è ormai incamminato lungo la sua inevitabile parabola discendente, e la percorre con uno stato d’animo in cui si mescolano nera rassegnazione, vaghe speranze (in Siegfried…) e residue illusioni, ma sostanzialmente in uno scenario piuttosto pessimistico, se non proprio rinunciatario. 
2. Il chiaro riferimento mitologico di questa scena è da ritrovarsi nella Vafþrúðnismál dell’Edda Antica, dove Óðinn (Odin, Wotan) si intromette quasi di forza, e sotto mentite spoglie, nella dimora del gigante Vafþrúðnis, col quale poi si cimenta in una mortale tenzone di sapienza, nella quale il gigante viene alla fine superato (poiché anche lassù… “ubi maior, minor cessat”). Persino alcune parole di Wotan sono quasi copiate dal poema di Saemund, come ad esempio: “molto viaggiai, molto feci esperienza”. E infatti Wotan si presenta qui sotto le spoglie di un viandante che si intromette di forza nella dimora, ma soprattutto nella vita, del malcapitato Mime, costringendolo ad una impari, e propriamente non del tutto onesta, prova di sapienza dove in palio c’è – proprio come nell’Edda – nientemeno che “la testa”. 

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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