14 gen 2008

3.1.1.1 Die Walküre - Atto I - Scena I - Introduzione

L’introduzione tempestosa in RE minore, tempo di 3/2 (in cui fa capolino insistentemente – e in forma ampliata - anche il famoso “Hedà, Hedà Hedò” di Donner, udito nel finale del Reheingold, ma qui in un’atmosfera cupa e ostile) ci rappresenta, con scale discendenti e ascendenti (ad esprimere diversi “ondeggiamenti”) due figure: le gelide ventate e gli scrosci di pioggia, accompagnati da tuoni sinistri, con cui una natura violenta e inospitale spazza la foresta, e la fuga precipitosa e col cuore in gola di un uomo, Siegmund(1), in cerca di un rifugio. Davvero, quelle semiminime “puntate” di violoncelli e contrabbassi ci danno l’impressione perfetta dei passi, anzi dei balzelloni di un fuggitivo che corre su un terreno scosceso e – allo stesso tempo – dei battiti convulsi del suo cuore. A voler guardare col microscopio elettronico, si può scoprire anche qui un piccolissimo particolare: le “folate” di vento sono rappresentate prevalentemente da quintine (5 semicrome - ascendenti o discendenti - in una semiminima); ma nella sezione centrale, Wagner scrive anche delle sestine, a voler sottolineare evidentemente la variabile intensità del fenomeno naturale!

Ma prima di addentrarci nel cuore della vicenda, val la pena di soffermarsi un attimo a considerare in qual modo (e magistralmente) il rapporto fra esseri viventi e natura viene trattato da Wagner. Nel Rheingold, era Donner a “guidare” gli elementi e ad “organizzarli” verso un preciso obiettivo (l’uragano, invero maestoso, quasi marziale nel tempo e perfettamente strutturato nella forma, ligia a inderogabili simmetrie – scandite dalle regolarissime “sestine” arpeggianti degli archi - era funzionale al disegno divino: creare l’accesso al Walhall) e lo faceva con la sicurezza e la solennità con cui un “dio” sa padroneggiare qualunque elemento naturale. Qui c’è invece lo “scatenarsi” – proprio nell’accezione letterale del termine – dei fenomeni naturali, divenuti per l’uomo incontrollabili ed ostili, fenomeni dai quali l’uomo può solo, e faticosamente, cercare di difendersi: l’intero preludio, oltre che nel tempo (“stürmisch”, tempestoso) è anche quanto di più “irregolare” si possa immaginare nella forma. Per farla breve: mentre nel Rheingold la casa (il Walhall) era il “fine”, per raggiungere il quale gli dèi si servivano dei fenomeni naturali (uragano ed arcobaleno) …qui la casa è declassata a puro “mezzo” di cui l’uomo si serve per difendersi a malapena da una natura che lo sovrasta implacabilmente, e sulla quale egli non ha davvero alcun potere. E, ancora una volta, è la musica del nostro rapsodo a spiegarci tutto ciò, con grande poesia e somma capacità espressiva!
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Note:
1. Nel Nibelungenlied, Siegmund e Siegelind (Sieglinde) vivono “felici e contenti” (Siegelind muore di morte naturale…) ed assistono alle imprese del figlio Sigurd (Siegfried): nulla delle vicende tragiche della Walküre. La Völsunga Saga ci presenta un Sigmund che non è nemmeno figlio di Odin (Wotan) ma solo un suo lontano discendente, che viene ucciso - con lo “zampino” di Odin - durante una battaglia, nata per motivi “di gelosia”, contro i seguaci di Lyngvi, figlio di Hunding. L’Edda si limita a citare Sigmund come padre di Sigurd e nulla più. (Non c’è bisogno di sottolineare la rimarchevole abilità con cui Wagner ha saputo “strutturare” in modo perfetto tutto questo ammasso di frattaglie, per farne un dramma che rappresenta il punto più alto della Tetralogia.)

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Helle Flammen scheinen in dem Saal der Götter aufzuschlagen. Als die Götter von den Flammen gänzlich verhüllt sind, fällt der Vorhang.
(Chiare fiamme sembrano prorompere nella sala degli dèi. Come gli dèi sono dalle fiamme totalmente avvolti, cade il sipario.)
(Götterdämmerung – L’ultima immagine del Ring)
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fram sé ec lengra um ragna röc (da lontano scorgo il destino degli dèi)
(Edda Poetica – Völuspá - Profezia della Veggente)
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orð mér af orði orðs leitaði (parola da parola mi condusse a parole)
(Edda Poetica – Hávamál – Píslir og rúnir, Discorso Runico di Odin)
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Il principio degli esseri è l'infinito… in ciò da cui gli esseri traggono la loro origine, ivi si compie altresì la loro dissoluzione, secondo necessità: infatti reciprocamente scontano la pena e pagano la colpa commessa, secondo l'ordine del tempo... (Anassimandro, 600 A.C.)
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L'"intento" degli dèi sarebbe compiuto quand'essi giungessero ad annullarsi nella creazione dell'uomo, quando cioè essi si spogliassero d'ogni influsso immediato sopra la libertà della coscienza umana. (RW: Abbozzo in prosa del 1848)
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La tetralogia L'Anello del Nibelungo può considerarsi un'epopea cosmogonica la cui prima e la cui ultima parola è l'elemento assoluto manifesto e pensabile come «acqua» ed esprimibile come «musica» cioè suono del beato silenzio: è l'enorme pedale in MI bemolle, di cui la tonica isolata è sostenuta per molte battute, al principio della prima Giornata del dramma, L'Oro del Reno, ed è la frase finale di due battute sull'accordo di terza di RE bemolle, al termine dell'ultima Giornata, Il Crepuscolo degli dei. (Augusto Hermet 1889-1954 - “La Parola Originaria”)
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…musica che è già in sé drammaturgia assoluta e autosufficiente, e chi ha un barlume di intelligenza sa che la musica è prima del mondo, e che è il mondo a modellarsi sulla musica… (Quirino Principe)

Perchè Wagner va studiato

Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi (in buona misura) si possono godere senza particolari prerequisiti (studi di musica o musicologia): un buon “orecchio” e un minimo di predisposizione sono più che sufficienti per apprezzare le loro opere e godere delle infinite “perle musicali” che contengono. Poi, lo studio servirà certamente ad approfondire i particolari delle composizioni, i retroscena, i nessi causa-effetto, e in fin dei conti ad apprezzare ancor più e meglio quelle opere.

Con Wagner la cosa non funziona proprio, così come difficilmente funziona – nel campo della musica strumentale – con Mozart o Beethoven o Bruckner, per fare solo qualche nome. È francamente difficile poter comprendere ed apprezzare fino in fondo una sinfonia di Beethoven, se non si ha un minimo di conoscenza delle forme musicali, del linguaggio sinfonico e, soprattutto, del “programma interno” che sta alla base della composizione. Senza di questi, si potrà magari godere una frase musicale particolarmente accattivante (come accade, per dire, ascoltando un balletto di Ciajkovski o un walzer di Strauss) ma difficilmente si potrà raggiungere quella particolare condizione di piena e completa “conoscenza-coscienza” di quell’opera d’arte.

Le opere di Wagner (parlo qui delle sette ultime, Ring, Tristan, Meistersinger e Parsifal, ma in qualche misura ciò vale anche per Lohengrin) sono un insieme inscindibile di poema, musica e didascalie di scena, insomma: tutto ciò che troviamo scritto sulla partitura. E quindi: limitarsi ad ascoltare la musica, senza comprendere le parole che vengono cantate (o declamate) fa correre il rischio di non capir nulla (come minimo) e di annoiarsi, quando non addirittura di cadere in uno stato di esasperazione e maledire Wagner per il resto dei propri giorni, rifiutando ogni e qualunque successivo contatto. Sì, perché Wagner non scrive “musica che si serve di parole (più o meno pertinenti) per manifestarsi”; ma si esprime in parole-musica, un insieme del tutto inscindibile. Allo stesso modo, per un regista o scenografo, ignorare – o, peggio ancora, contraddire – le didascalie poste da Wagner in partitura, significa ignorare o addirittura stravolgere le intenzioni dell’autore, e distorcerne totalmente il pensiero e il messaggio artistico.

Il Ring (“L’Anello del Nibelungo”, detto volgarmente “Tetralogia”, essendo costituito da quattro opere) è certamente l’esempio più completo e palpabile della wagneriana “Gesamt-Kunst-Werk” (Opera d’Arte Totale).

daland

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